La Buona Notizia della V Domenica di Quaresima
3 Aprile 2022 – a cura di don Carmine del Gaudio

Venerdì 25 marzo, nel pomeriggio, il S. Padre Papa Francesco nella Basilica Vaticana ha presieduto la celebrazione Penitenziale in cui Egli per primo si è confessato e poi ha confessato una decina di fedeli presenti in S. Pietro. Durante la celebrazione e al culmine di essa ha consacrato la Russia e l’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria. È il più significativo atto a favore della pace che può venire solo dall’alto! Voglio così, prima con questo ricordo bellissimo e struggente, entrare nella riflessione dei testi proposti dalla Chiesa per il cammino della prossima settimana.
Prima di tutto la contemplazione delle meraviglie di Dio! Iniziamo con il Salmo 125: Grandi cose ha fatto il Signore per noi. Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion, ci sembrava di sognare. Allora la nostra bocca si riempì di sorriso, la nostra lingua di gioia. Allora si diceva tra le genti: «Il Signore ha fatto grandi cose per loro». Grandi cose ha fatto il Signore per noi: eravamo pieni di gioia. Ristabilisci, Signore, la nostra sorte, come i torrenti del Negheb. Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia. Nell’andare, se ne va piangendo, portando la semente da gettare, ma nel tornare, viene con gioia, portando i suoi covoni.
Il delirio del peccato, riconoscibile per le sue nefaste conseguenze nella figura del giovane che va via di casa, di domenica scorsa, procura una festa ma è una festa di tristezza, una festa in cui ti ritrovi solo con l’illusione trasformata in delusione: pensavi di avere amici, di goderti la vita, di poter fare soprattutto a meno di Do: e ti ritrovi nella melma più schifosa. Tanto sei sceso giù, giù. Le meraviglie dell’amore del Padre misericordioso trovano la loro bella espressione nel testo di Isaia che ci dice l’azione di Dio per il suo popolo, infedele ma amato.
Dal libro del profeta Isaia (43, 16-21)
Così dice il Signore, che aprì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti, che fece uscire carri e cavalli, esercito ed eroi a un tempo; essi giacciono morti, mai più si rialzeranno, si spensero come un lucignolo, sono estinti: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto. Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi.
Anche il peccatore può innalzare la lode al Padre misericordioso. Lo farà Israele. Lo facciamo anche noi. Pur tuttavia il peccato pone alla nostra coscienza degli interrogativi circa la qualità della nostra conversione. La sintesi meravigliosa del comportamento da assumere, nella nostra conversione, ci viene suggerito da Paolo mediante la sua esperienza personale registrata in Filippesi 3, bellissimo e suggestivo capitolo della lettera in cui troneggiano le sue scelte:
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési (3, 8-14)
Fratelli, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti. Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù.
La conversione ci suggerisce coerenza e fermezza senza girarci intorno. Occorre andare sempre all’essenziale. Dal momento che la conversione è provocata dall’iniziativa di Dio che ci attrae, ci chiama a vivere l’intimità con Lui (quello che manca nel peccato è esattamente l’intimità con il cuore del Padre – come vediamo nel giovane di Luca 15 quando, in mezzo i porci, prende coscienza di quello che più gli manca, il cuore del Padre!), facciamo nostro il fortissimo desiderio di Paolo. Il vero senso della vita cristiana porta a questo: più che pratiche esteriori, intimità da gustare.
– tutto è una perdita che volentieri si fa per la “conoscenza esperienziale” di Cristo;
– Paolo lascia perdere tutto quello che a livello umano gli poteva dar soddisfazione e lo ritiene “spazzatura” (addirittura!) pur di guadagnare Cristo.
– con umiltà Paolo riconosce che non è ancora arrivato alla meta: tuttavia egli continua a correre verso Cristo: questo credo sia la migliore definizione alternativa di conversione: So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù.
Con queste riflessioni possiamo meglio entrare nel brano del Vangelo di Giovanni:
Dal Vangelo secondo Giovanni (8, 1-11)
In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
Gesù si trova in questo momento ad affrontare un delicato intervento: cammina sul filo della lama quanto dirà. Perché il peccato c’è e non si può nascondere perché è troppo palese. Ma c’è qualcosa di nascosto che vorrebbe mantenere l’anonimato: l’oscurità di una condanna. Tanto non siamo noi a condannare ma la Legge. E la coscienza di tutti sembra a posto. Interrogato Gesù crea invece uno spazio diverso in cui l’oscurità si deve manifestare, l’odio deve far vedere il proprio volto.
Prima di tutto, questa scena irreale: Gesù non risponde e fai dei segni per terra: forse delle linee per sconvolgere il confine tra il bene ed il male: forse dei numeri all’infinito per descrivere quante volte il Padre è pronto a perdonare i suoi figli che siamo noi, chiunque tra noi. Sta di fatto che quel silenzio è assordante perché parla più di tutte le parole.
All’insistenza della domanda, in cui i “giusti”, i “benpensanti”, i “giudici, vorrebbero sentirsi convalidare il giudizio e la condanna oramai acquisiti, Gesù finalmente risponde la verità: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E di nuovo a scrivere.
Tutti, con le pietre nascoste tra le mani, cominciamo ad allontanarsi, lasciando cadere quelle pietre che dovevano servire per la lapidazione e che ora cadute l’una sull’altra suonano la marcia funebre degli sconfitti.
Intanto la donna è a terra, schiacciata dal giudizio più che dal peccato:
«Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». «Nessuno, Signore».
Qui non il giudizio ma la resurrezione: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
Miseria e misericordia si sono incontrate e baciate. Ancora una volta il Padre che abbraccia i suoi figli anche quando sono nell’errore più marchiato.