Domenica scorsa ci siamo beati nel tuffarci nella Parola di Dio che dal roveto ardente in poi, fino alla pagina del Vangelo, il Vangelo della pazienza di Dio, il Vangelo della conversione, ci ha fatto gustare chi è il nostro Dio: è il “Presente” per eccellenza, Colui che dice “Io sono” e cammina accanto ad ogni uomo: ma c’è di più: cammina dentro ogni uomo. Il “Dio dentro” è ancora il protagonista della liturgia di questa quarta Domenica di Quaresima. Intanto stiamo entrando nel clima logico della Pasqua che ci viene richiamato dalla prima lettura:
Dal libro di Giosuè (5, 9a.10-12)
In quei giorni, il Signore disse a Giosuè: «Oggi ho allontanato da voi l’infamia dell’Egitto». Gli Israeliti rimasero accampati a Gàlgala e celebrarono la Pasqua al quattordici del mese, alla sera, nelle steppe di Gerico. Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra, azzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno. E a partire dal giorno seguente, come ebbero mangiato i prodotti della terra, la manna cessò. Gli Israeliti non ebbero più manna; quell’anno mangiarono i frutti della terra di Canaan.
Il popolo è giunto alla fine del suo viaggio faticoso: 40 anni nel deserto: 40 anni di stenti ma di piena soddisfazione nelle risposte di Dio: un viaggio in cui si moltiplicano i gesti e i segni di un Dio presente, di un Dio preoccupato per i suoi figli, un Dio che non farà mai mancare nulla alla vita di chi si muove sulla Sua Parola. Ma questo popolo non comprenderà la portata della liberazione (significato primo della Pasqua), non gusterà fino in fondo il dono della libertà. Sarà poi l’azione del Dio Incarnato, Gesù Cristo, a farci entrare definitivamente nella Terra Promessa della Libertà dei figli di Dio.
Invero il Salmista (Salmo 33) ci fa pregare la prima lettura e ci suggerisce: Gustate e vedete com’è buono il Signore. Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode. Io mi glorio nel Signore: i poveri ascoltino e si rallegrino. Magnificate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome. Ho cercato il Signore: mi ha risposto e da ogni mia paura mi ha liberato. Guardate a lui e sarete raggianti, i vostri volti non dovranno arrossire. Questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo salva da tutte le sue angosce.
Abbiamo scoperto alcuni valori che adesso ci aiuteranno ad “entrare” nella pagina stupenda del Vangelo di Luca.
Dal Vangelo secondo Luca (15, 1-3.11-32)
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
Questa pagina si apre con il clima ostile nei riguardi di Gesù. Gesù aperto verso i poveri, verso gli ultimi, verso i peccatori: quindi un Gesù “contro”: contro la mentalità farisaica, contro il vuoto di chi impone la Legge ma non l’osserva: ma, anche qui, leggiamo il Dio paziente del fico di domenica scorsa (lascia che gli zappi intorno, lo concimi…) che ci sconvolge perché ci porta nel cuore di Dio e, ancor più, al cuore di Dio.
Poi il figlio giovane (non pensi il lettore che qui “giovane” voglia significare solo età: indica invece ogni età in quanto quello che ha fatto il nostro giovane della parabola lo fa – purtroppo – ognuno di noi, anche se adulto, anziano o addirittura vecchio!) si illude di aver raggiunto un’autonomia di pensiero, un’autonomia di scelte: e chiede di andare via di casa, non senza aver chiesto la sua sicurezza: la parte del patrimonio che – dice – gli spetta. Si allontana dal Padre, dalla casa, dagli affetti: quasi rinnega tutto per l’avventura che vuole correre. E va. Purtroppo sarà un disastro: perché: quando hai denaro, freschezza, sei aitante, sei disponibile a ballare, cantare, fare viaggi, andare in pizzeria, avere le tue donne o i tuoi uomini (e tutto perché hai ricchezza e lo puoi “pagare”), tutto ti sembra bello: sembra il tuo paradiso artificiale. Ma… quando non hai più denaro, non fai più brillantezza, quando chiedi aiuto per chi ti aiuti a sfamarti, ti capiterà di trovare le porte chiuse. Come le ha trovate il giovane della parabola. Scende tanto giù che gareggia con i porci per mangiare le ghiande.
Egli si era allontano: il Padre no! Il Padre lo rincorre con il suo amore. Per questo motivo leggiamo la svolta. “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”.
Mi interessa pormi una domanda: Chi veramente lo rimette in piedi, lo aiuta a recuperare nel profondo di se stesso questa meravigliosa idea del Padre? Sono certo: l’amore del Padre che lo “ricrea”, lo “rigenera”, lo aiuta a riscoprirsi figlio anche se degenere.
Mi alzerò e andrò:… Si alzò e tornò da suo padre. Quello che è avvenuto lo conosciamo bene: chissà quante volte lo abbiamo sperimentato e lo sperimentiamo quando torniamo a Dio con la “Confessione” del nostro peccato!
Abbraccio prima di tutto: poi festa con anello al dito, calzari ai piedi, veste bella, festa solenne con animale ucciso per il pranzo. È il Figlio che recupera la sua piena dignità.
Questa è la vera Pasqua di ogni uomo: questa è la vera Pasqua in cui il Figlio di Dio si immola per ridare ad ognuno di noi la dignità di figlio perduta con il peccato.
Che squallore la figura del figlio maggiore! Perde l’occasione per dimostrare che è figlio, si rifiuta di fare Pasqua di una resurrezione: ma egli non la può capire perché ha deciso di rimanere nel buio della morte, della morte dell’amore.
Il nocciolo della nostra conversione, che ci viene chiesta, consiste nel dover modellare nuovamente la nostra esistenza di uomini e di cristiani, sta proprio in questo ritorno, in questo incontro, in questo abbraccio. Per questo motivo, riascoltando Paolo, facciamo sintesi del desiderio del Padre verso di noi e anche della nostra speranza che si apre davanti a noi.
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi (5, 17-21)
Fratelli, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.
Contemplando questa Parola scritta da Paolo con il dito di Dio, chiudiamo questa quarta domenica, rispondiamo durante questa settimana al grande invito dell’Apostolo:
… lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio…
Pasqua è alle porte e anche per noi si prospetta la Resurrezione. Non tardiamo. È la festa della nostra vita nuova. Saremo noi creature nuove!