Pillole di cultura popolare

IL PANZAROTTO
di Luigi Lembo
Se oggi è di moda, soprattutto tra i giovani, consumare un aperitivo nei bar della Piazzetta accompagnato magari da qualche sfizio, negli anni 70/80 esisteva invece lungo via delle Botteghe una celebre rosticceria dove era d’obbligo riunirsi a gustare un’unica particolare delizia, diventata una storica specialità e il cui nome diceva tutto: il panzarotto. La produzione di questa goduria del gusto si perde nel tempo e naturalmente non poteva che nascere a Napoli. Venivano infatti venduti nei vicoli del centro storico già dal 700 dai “panzerottari”, i quali buttavano al momento l’impasto già pronto nel pentolone d’olio caldo per servirli bollenti e dorati. I crocchè di patate Napoli sono chiamanti “panzarotti” non a caso e per via della loro forma panciuta: ricordano, infatti, una “panza” morbida e tonda. Le origini di questa polpetta fritta realizzata con patate e uovo dividono gli storici ancora oggi. C’è chi sostiene che i crocchè abbiano un’origine francese, come può far intuire il nome: deriverebbero dalle ‹croquettes’ di patate della Francia angioina dell’XVIII secolo, un piatto molto apprezzato dal re e dalla sua corte. Le prime ricette scritte risalirebbero, infatti, a un trattato del 1798, “Il Trattato delle patate ad uso di cibo” di Antoine Augusten Parmentier, nutrizionista alla corte del re Luigi XVI, in cui si valorizza l’uso del tubero, allora considerato un cibo estremamente povero. A confermare questa tesi ci sarebbero altre ricette d’oltralpe lasciate in eredità dagli Angoini alla cucina napoletana: tra queste ricordiamo il gateau di patate francese, da cui deriva il partenopeo gattò di patate. Secondo altre fonti, invece, il crocchè sarebbe stato portato a Napoli dai conquistatori spagnoli, e avrebbe come antenato la “croquetas de jambon”. La ricetta spagnola sarebbe stata, poi, negli anni rivisitata dalle famiglie più umili napoletane che avrebbero sostituito alcuni ingredienti presenti nella ricetta originaria (il latte, il prosciutto e le uova) con le patate, il sale, il pepe e il prezzemolo. Tutti gli altri ingredienti quali uova, parmigiano per amalgamare, pan grattato per impanare e fior di latte per farcire, sarebbero stati aggiunti solo successivamente. Che sia vera la prima o la seconda tesi non c’è dato sapere. Ma una cosa è certa: i napoletani hanno trasformato questo cibo di nobili origini  in uno stuzzichino sfizioso da mangiare passeggiando per strada, insieme ad altri fritti, all’interno del famoso “cuoppo fritto”, emblema dello street food partenopeo. Il “panzerottaro” attirava l’attenzione dei passanti gridando “Fa marenna, fa marenna! Te ne magne ciento dint’ ‘a nu sciuscio ‘e viento” (“Fai merenda, fai merenda! Te ne mangi cento in un soffio di vento”). I panzarotti venivano venduti a tutte le ore del giorno sia singolarmente che nel “cuoppo di carta” insieme ad altre bontà fritte napoletane, come le zeppoline di pasta cresciuta, gli scagliozzi, le palle di riso e le frittatine di pasta. E andavano gustati rigorosamente in piedi.