Pillole di cultura popolare
QUANDO NAPOLI ERA ALL’AVANGUARDIA CON I VACCINI
di Luigi Lembo
Oggi combattiamo contro il coronavirus e discutiamo in questi giorni sui vaccini e sulle modalità della loro distribuzione e somministrazione. Nel Settecento invece il flagello endemico si chiamava variola, causa del vaiolo. Era la malattia infettiva più diffusa e più grave nell’Europa di quel tempo. Spaventava tutti, perché colpiva giovani e bambini. Una persona malata su sei moriva. Chi non lo contraeva in forma maligna e letale facilmente restava cieco o deforme. Alla metà del secolo si contavano 60 milioni di morti, soprattutto bambini, e solo negli stati italiani ne risultavano colpiti sei giovani su dieci. Di questo contesto però forse non tutti ricordano il contributo determinante, dato nella seconda metà del XVIII secolo dal Regno di Napoli all’ eradicazione di questa terribile malattia. Anche all’epoca, in Cina, India e Persia avevano intuito, guarda caso, il concetto d’immunizzazione ed avevano provato ad ingerire, o inalare, polvere di pustole disseccate, ma ahimè era stato tutto inutile. Agli inizi del secolo XVIII la Turchia sperimentò un nuovo metodo, detto “variolizzazione”, che vedeva il virus, prelevato da una piccola quantità di pus preso dalle piaghe d’un ammalato con una forma lieve di vaiolo, inoculato attraverso un graffio sul braccio. Proprio a Napoli fu utilizzato per la prima volta questo metodo, nel 1777, anno in cui era scoppiata una terribile epidemia di vaiolo. Ferdinando IV, scosso dalla morte del fratello Filippo (principe ereditario escluso dalla successione perché affetto da disabilità), incaricò un medico di corte, il pisano Angelo Maria Gatti, di amministrare la ricerca e gestione dei vaccini. Così il re fece vaccinare tre dei suoi figli con il rudimentale vaccino. Per il padre, il re di Spagna Carlo III, che era molto religioso, infettare una persona sana significava andare contro la volontà di Dio, e si infuriò all’idea, ma nel 1778 Ferdinando IV stesso si fece inoculare, andando contro la sua volontà. In una lettera al monarca spagnolo descrisse accuratamente il trattamento e le sue conseguenze: gli erano apparse “quarantuno pustole sul viso e altre duecento sul resto del corpo… con un po’ di fastidio, ma ora stava meglio di prima. E si sentiva più tranquillo”. Sfortunatamente Carlo III perse il suo figlio prediletto con la stessa malattia, e questo gli fece cambiare idea. In seguito alla morte dei piccoli principi napoletani Gennaro e Carlo, anche loro portati via dal vaiolo, che per la loro giovane età non erano stati inoculati, Ferdinando IV e Maria Carolina ordinarono la vaccinazione obbligatoria per i ragazzi della colonia di San Leucio. Diversi anni dopo, il monarca napoletano instaurò con il medico inglese Edward Jenner una proficua collaborazione. Nel 1796 Jenner aveva scoperto che l’inoculazione poteva essere effettuata in maniera meno rischiosa usando il pus del vaiolo vaccino, preso da vacche infette, molto più debole di quello umano. Nel dicembre del 1798 Ferdinando IV aveva abbandonato Napoli per sfuggire all’invasione francese. Essendo rimasto, dopo la fine della rivolta, un altro paio d’anni in Sicilia, si trovava appunto a Palermo durante l’epidemia di vaiolo del 1801. L’infezione aveva causato più di 8000 morti, Ferdinando voleva utilizzare la scoperta di Jenner, ma non aveva i mezzi per produrre il vaccino in quantità industriale. In quei giorni era giunto a Palermo il dottor Joseph Andrew Marshall, medico jenneriano incaricato dalla Royal Navy d’immunizzare i militari inglesi di stanza in Sicilia. L’abile monarca riuscì, in qualche maniera, a fargli estendere la vaccinazione alle popolazioni di Palermo e di Napoli. Alcuni ex conventi dei gesuiti furono usati come centri di vaccinazione di massa, seguendo il consiglio di Marshall, il re ordinò ai medici delle province di far vaccinare le centinaia di migliaia di orfanelli e trovatelli delle loro giurisdizioni. All’arrivo i ragazzi venivano accolti nei centri, vaccinati e poi rimandati a casa. Il pus delle loro pustole sarebbe poi stato usato per fabbricare i vaccini su scala industriale, usando anticorpi umani e non più bovini. Dalla relazione presentata nel marzo del 1802 alla Camera dei Comuni di Londra, risulta che il dottor Marshall, in collaborazione con il sistema sanitario borbonico, riuscì a vaccinare in meno di un anno oltre diecimila bambini. Secondo le date dei registri sanitari dell’epoca, il programma di vaccinazione attuato da Ferdinando IV fu il primo realizzato in Italia su vasta scala, e su questi metodi il nostro Arcuri non farebbe male a documentarsi…