18. La mèta della nostra conversione – La Buona Notizia
della 2 Domenica di Quaresima – 8 Marzo 2020
a cura di don Carmine del Gaudio
Abbiamo concluso da qualche ora il nostro corso di Esercizi Spirituali in cui abbiamo riletto il grande dono della preghiera quale “respiro del cristiano” (S:Agostino). La liturgia di oggi ci presenta quanto avviene sul monte allorchè Gesù, lasciandosi accompagnare dai tre apostoli prediletti Pietro, Giovanni e Giacomo, mentre era in preghiera, secondo il racconto di Luca, si trasfigurò davanti a loro.
In questa pagina della liturgia della 2 Domenica mi sembra di poter intravedere il “cammino” della preghiera.
Dal libro della Gènesi (12, 1-4)
In quei giorni, il Signore disse ad Abram: «Vàttene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò, e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra». Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore.
La preghiera, così come ogni momento della vita del cristiano (e di ogni uomo) si misura con la forza e la convinzione di uscire: uscire da sé stessi, dalle proprie prospettive raggiunte o meno, dalle proprie convinzioni: come Abramo che, pur avendo raggiunto un adeguato stile di vita, da ricco possidente, aveva agiatezze di ogni genere. Ma la sua vita non era appagata. Voleva un figlio che non era arrivato, con una moglie sterile. Stiamo parlando di una persona, Abramo, che aveva ben 75 anni. Dio lo chiama ad uscire da tutto quanto possiede, da tutta quello che è la sua vita. Anche dalla tristezza di non aver figli. Il discorso di Dio è chiarissimo: esci…farò di te una grande nazione…
Abramo uscì, partì verso un incognito.
Si è fidato di Dio!
La preghiera nasce da un bisogno dell’uomo che vuole, cerca delle risposte ma gli uomini e questo mondo con le sue categorie non sono in grado di offrire. L’uomo cerca l’assoluto, cerca di dare vita ad una speranza. Allora si rivolge a Colui che Gesù ci ha presentato come Padre, insegnandoci la preghiera dei figli. Nella preghiera coniugata come esigenza di amore dell’animo umano, l’uomo si allena alla risposta all’iniziativa di Dio che parla perché si rivela a noi e ci chiede di ascoltarlo per accoglierlo nel silenzio profondo dell’abbandono.
Non a caso oggi il Salmo 32 ci fa pregare: Donaci, Signore, la tua grazia: in te speriamo.
Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme, su chi spera nel suo amore, per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame. L’anima nostra attende il Signore: egli è nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi sia il tuo amore, Signore, come da te noi speriamo.
Tutto ruota intorno alla figura del Cristo che ci è stato donato dal Padre come il Grande Rivelatore del Padre. Gesù è il nostro Maestro di preghiera, di unione intima con il Padre: è Lui che ci ha fatti e resi consapevoli del nostro essere “figli amati e prediletti”. La figliolanza è la nostra pima vocazione che Dio ci ha donato perché fossimo con Lui in comunione profonda ed intima. S. Paolo esorta Timoteo a prendere coscienza di questa realtà che ci trascende ma che ci coinvolge.
Dalla lettera di san Paolo apostolo a Timòteo (1, 8b-10)
Figlio mio, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo. Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia. Questa ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma è stata rivelata ora, con la manifestazione del salvatore nostro Cristo Gesù. Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo.
Gesù Cristo ci viene presentato come il Salvatore e ci ha resi coscienti di una vocazione alla santità cui siamo chiamati per un atto di gratuita generosità verso di noi da parte del Padre dei cieli. Noi ne prendiamo coscienza nel cammino della nostra vita. La stessa vita di preghiera si delinea come un cammino che scandisce i ritmi della fede e dell’amore.
In questo cammino il primo momento appartiene a Dio che viene verso l’umanità per donarci il Figlio suo, pienezza della rivelazione del suo cuore pieno di attenzione e di delicatezza verso di noi.
Il testo del Vangelo di questa domenica si inserisce nel contesto di questa rivelazione: anzi ne è il momento culminate che si riallaccia al momento del Battesimo di Gesù al Giordano.
Dal vangelo secondo Matteo (17, 1-9)
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».
Entriamo in questa pagina in punta di piedi.
Ci sentiamo dei privilegiati perché anche noi come Pietro, Giovanni e Giacomo possiamo accompagnare Gesù verso il monte. Con Lui anche noi usciamo da noi stessi per salire verso la vetta. Questo distacco è un canto di libertà da.. per.. Solo così si è pronti ad accogliere la rivelazione di Dio. Lo svuotamento di noi stessi, il metterci (stare!) di fronte a Dio apre il nostro cuore. «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». Ecco la voce del Padre che si fa presente per farci comprendere da vicino e dall’intimo chi è questo Gesù: sì, è Colui che passa beneficando e sanando i malati, incontra i peccatori, conforta i peccatori: ma è soprattutto il Figlio di Dio venuto per noi. In Lui scopriamo il nostro rapporto di figliolanza con Dio.
Nel bel mezzo della nostra Quaresima è davvero proficuo questo sguardo che la Chiesa, con la Parola di Dio, ci fa gustare contemplando il Volto trasfigurato di Gesù. Ci consola. Ci apre alla certa speranza che la vera vita dell’uomo non si esaurisce su questa terra e che davanti a noi il Cristo Figlio di Dio ci ha aperto il cielo. Contemplando Gesù anche noi ci sentiamo coinvolti perché questa visione diventa per noi certezza che un giorno anche noi saremo trasfigurati come Lui è apparso sul monte: con il riflesso di Dio sul volto, con la sua luce che brillerà sul nostro volto come brillò il volto di Mosè quando usciva dall’incontro con il Signore.
È la nostra mèta.
Il cammino della Quaresima ci allena ad entrare nella trasfigurazione della nostra vita: che alla luce della Parola di Dio che ci viene comunicata, si configura alla logica, alla mentalità di Dio e ci permette di abbandonare alle nostre spalle il modo di agire solo umano per essere capaci di vivere in pienezza già qui in terra, la vita di Dio.
Questa è la vera conversione, la vera metànoia, cioè il vero cambiamento di mentalità per cui sposiamo in pieno ed in toto quello che ci insegna la voce di Dio che Gesù ha realizzato in ogni istane della sua esistenza: il che provoca il compiacimento pieno del Padre!