11. Solo in Cristo la nostra salvezza – La Buona Notizia
della 2 Domenica del Tempo Ordinario – 19 gennaio 2020
a cura di don Carmine del Gaudio

Domenica scorsa con il Battesimo di Gesù, la Chiesa Lo ha consegnato a ciascun credente, nato dal Battesimo, perché Lo faccia crescere, dopo averLo accolto nella propria vita; nello stesso tempo dall’accoglienza deve passare al crescere egli stesso con il Maestro, alla scuola della Sapienza di Dio. Proprio come ha fatto Maria, nei lunghi anni della vita nascosta con Gesù a Nazareth.
È il cammino che la Chiesa chiede ai battezzati e che noi tutti siamo chiamati a realizzare con il lento camino dell’anno liturgico, paso dopo passo con la Parola d Dio proclamata e generata dentro di noi con una vita nuova.
Questo cammino ci porta a condividere l’intimità con Gesù, nella preghiera e nella incarnazione del suo messaggio nel quotidiano.
Certamente questo cammino mira a realizzare dentro di noi un salto di qualità da una vita scialba, senza identità ad una vita piena di Dio, giusto il messaggio del Prologo del Vangelo di Giovanni: dalla sua pienezza noi abbiamo ricevuto grazia su grazia.
Quella che il Padre desidera per il Figlio inviato nel mondo, lo vuole per ciascuno di noi suoi figli:
Dal libro del profeta Isaia (49, 3. 5-6)
Il Signore mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria». Ora ha parlato il Signore, che mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele – poiché ero stato onorato dal Signore e Dio era stato la mia forza – e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra».

Come è consolante e stimolante che Dio mio Padre mi dice chiaramente: «È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra».
Il cammino della nostra via di credenti è scandito dalla grazia: nulla possiamo con le nostre forze, ma tutto possiamo realizzare se la nostra povertà, la nostra umanità, si incontra con la grazia che viene dall’alto. Eppure la fiducia del Signore nei riguardi di noi è identica a quella affidata al “suo Servo”: «È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra»: la fiducia non ci rende solo capaci di “restaurare” o di “condurre”: ci rende missionari del Vangelo per portare “la mia salvezza fino all’estremità della terra”.
Il Salmista (Salmo 39) mette sulla nostra bocca la Parola dell’obbedienza, che pronunziò il Figlio di Dio: Ho sperato, ho sperato nel Signore, ed egli su di me si è chinato, ha dato ascolto al mio grido. Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo, una lode al nostro Dio. Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto, non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato. Allora ho detto: «Ecco, io vengo». «Nel rotolo del libro su di me è scritto di fare la tua volontà: mio Dio, questo io desidero; la tua legge è nel mio intimo». Ho annunciato la tua giustizia nella grande assemblea; vedi: non tengo chiuse le labbra, Signore, tu lo sai.
La missione del credente è così presentata da Paolo nell’introduzione della sua Prima lettera ai Corinzi che ci farà compagnia in queste domeniche iniziali dell’anno nel tempo ordinario:
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1, 1-3)
Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, alla Chiesa di Dio che è a Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!

Il prologo di Giovanni ci richiama come coloro che hanno accolto il Verbo sono stati eletti, prescelti, consacrati figli di Dio. Questa chiamata è per tutti e a tutti viene mandato l’Apostolo, come ogni cristiano, nella pienezza della gioia che contamina, non può essere chiusa in se stessi ma va donata e condivisa. Per tutti è la chiamata alla santità, per tutti è la vocazione alla grazia, alla gioia, alla pace: il tutto viene dal Signore nostro Gesù Cristo.
La grandezza di Giovanni il Battista è esattamente questa dimensione apostolica per cui ha saputo distaccare da se stesso i suoi innumerevoli discepoli per indirizzarli “dietro” di Lui, il Messia.

Dal vangelo secondo Giovanni (1, 29-34)
In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».

Che Giovanni avesse avuto da subito l’intuizione di chi fosse realmente il Nazareno lo si evince dal contesto del Vangelo. Cosa non ha detto Giovanni di Gesù! Il brano del Vangelo di oggi, ancora di Giovanni l’evangelista e apostolo diretto di Gesù, ci presenta il Battista in un gesto che proclama Gesù, la sua presenza, la sua vera identità, legata alla Sacre Scritture.
Ecco l’Agnello di Dio = una figura emblematica per indicare la dimensione sacrificale per cui l’azione di Gesù, a differenza di tutti i banditori della Parola, compreso lo stesso Battista, diventa salvifica, cioè veramente libera l’uomo dal peccato interiore e lo purifica, lo rende uomo in piedi, capace di guardare in faccia Dio e chiamarlo “Padre”.
Giovanni fa riferimento al doppio battesimo. Quello ricevuto da Gesù e che diventa l’occasione per la rivelazione di Dio Padre sull’identità del Figlio, l’amato, in cui ha posto il suo compiacimento; il battesimo che nasce dal mistero pasquale di Gesù per cui l’uomo immerso nel suo sacrificio della croce riemerge liberato dalla schiavitù del peccato e soprattutto con la nuova dignità di Figlio di Dio.
Giovanni la Giordano è stato testimone di quanto avvenuto: e come testimone annuncia ai suoi discepoli la presenza di Gesù nel mondo: sarà il “la” per cui i suoi discepoli si metteranno alla sequela del Nazareno.
Questo ultimo aspetto ci interessa da vicino. Allora anche noi annunceremo la gioia della presenza di Gesù quando saremo noi per primi testimoni del suo mistero e ci lasceremo salvare dal nostro peccato, che ci apre alla vita nuova e diremo a tutti le meraviglie operate in noi da Gesù.