14. Cristiani senza se e senza ma – La Buona Notizia della
IV Domenica del Tempo Ordinario – 3 Febbraio 2019 – a cura di don Carmine del Gaudio
Il tema della vocazione, tra i tanti che ci propone questa domenica, ci fa esultare di gioia indicibile: è il tema che ci riporta nell’ <oggi> di Dio.
Dalla vocazione profetica di Geremia a quella di Gesù a quella di ogni cristiano. Dalla Parola apprendiamo che il profeta, che è chiamato e inviato da Dio, è un uomo come noi, a ben, consapevole della missione cui viene chiamato. Egli non parla, non ragiona e non pensa più da bambino (vedi la seconda lettura odierna). Il profeta, il vero profeta, ha eliminato il pensare da bambino, mentre del bambino conserva l’innocenza e lo stupore. Ma questa vocazione per Gesù a Nazareth apre la strada per il cammino della croce: dall’accolgienza forse anche minata dalla curiosità (quello che hai fatto a Cafarnao fallo anche tra noi!), un tantino anche gioiosa per avere questa notorietà nata tra loro, alla cacciata dolorosa verso il Monte Precipizio. Ma la missione del profeta è rimenere fedele alla Verità.
Il profeta non si deve preocupare se gli faranno guerra; non lo vinceranno, perché “io sono con te per salvarti”.
Dal libro del profeta Geremìa (1, 4-5. 17-19)
Nei giorni del re Giosìa, mi fu rivolta questa parola del Signore: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni». Tu, dunque, stringi la veste ai fianchi, àlzati e di’ loro tutto ciò che ti ordinerò; non spaventarti di fronte a loro, altrimenti sarò io a farti paura davanti a loro. Ed ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata, una colonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti».
Questa modello di voce profetica ha permesso di comprendere ancora meglio il profeta più grande di tutti: Gesù, il figlio di Dio.
Ogni vocazione ci mette di fronte a Lui, al seguito di Lui. Ricordiamo che il nostro Battesimo ci permette di vivere la sua stessa vita con la triplice missione dell’essere sacerdoti, re e profeti.
Dal Vangelo secondo Luca (4, 21-30)
In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
I compaesani di Gesù chiamati all’incontro nella sinagoga, non lo riconoscono: anzi si difendono da lui: lo guardano senza vederlo nella sua essenzialità: per loro è solo il figlio di Giuseppe, uno come tutti i presenti; odono ma non sanno riconoscere le sue parole. Possiamo capirli: come possono pensare che sia lui, il figlio del falegname, Dio che parla di se stesso? E poi, di quale Dio? Lo rifiutano: e noi cogliamo un secondo motivo del rifiuto di Gesù: è il suo messaggio dirompente, un pugno nello stomaco della loro fede, che rivela il loro errore più drammatico: si sono sbagliati su Dio (potremmo dire il “loro” Dio). “Fai anche qui, a casa tua, i miracoli di Cafarnao”.
È la storia di sempre, che tocca anche noi: rendere poca cosa Dio, lo riduce a distributore di grazie, e la nostra fede vissuta come un baratto: quante volte anche noi diciamo: io credo in Dio se mi dà i segni che gli chiedo; lo amo se mi concede la grazia di cui ho bisogno. E il nostro amore diventa mercenario.
Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui. Non ci bastano più le belle parole, vogliamo un Dio a nostra disposizione; uno che ci stupisca, non uno che ci cambi il cuore. Ma questo è l’unico obiettivo di Gesù: realizzare la voce profetica di Ezechiele: vi toglierò dal petto il cuore di pietra e vi metterò il cuore di carne. Il furore aumenta quando Gesù richiama le testimonianze dell’agire di Dio. “Dio ha come casa ogni terra straniera, a Zarepta si manifesta protettore di vedove straniere e senza meriti, guaritore di lebbrosi siriani nemici d’Israele, senza diritti da vantare. Un Dio che non ha patria se non il mondo, che non ha casa se non il dolore e il bisogno di ogni uomo” (Così Padre Ermes Ronchi).
“Adorano un Dio sbagliato e la loro fede sbagliata genera un istinto di morte: vogliono eliminare Gesù. Mentre il Dio di Gesù è l’amante della vita, il loro è amico della morte. Ma egli passando in mezzo a loro si mise in cammino. Come sempre negli interventi di Dio, c’è un punto bianco, una sospensione, un ma. Ma Gesù passando in mezzo se ne andò. Va ad accendere il suo roveto alla prossima svolta della strada. Appena oltre ci sono altri villaggi ed altri cuori con fame e sete di vita. Un finale a sorpresa. Non fugge, non si nasconde, passa in mezzo a loro, alla portata delle loro mani, in mezzo alla violenza, va tranquillo in tutta la sua statura in mezzo ai solchi di quelle persone come un seminatore, mostrando che si può ostacolare la profezia, ma non bloccarla, che la sua vitalità è incontenibile, che il vento dello Spirito riempie la casa e passa oltre”. Non aver paura io sono con te per salvarti.
La vera profezia, quindi l’essenza della nostra vocazione battesimale, riveste la vita di Gesù: quindi “ama”. Questa la profezia che il mondo anche ostile, gli uomini anche distratti o dal diverso pensiero, riescono a cogliere: e si stupiscono.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi (12, 31 – 13, 13)
Fratelli, desiderate intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime. Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe. La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino. Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!
Questo testo fondamentale per la vita vera del cristiano va solo vissuto: come Gesù. Allora non faremo più chiacchiere inutili che servono solo a perdere tempo, l’amore vero non è teoria ma vista vissuta, capacità di lasciarsi penerare da Dio (noi siamo capaci di amare perchè Dio ci ha amati per primo!) e quindi diventa capacità di chinarsi sugli altri senza se e senza ma.
Da non dimenticare però che l’amore non è una prepotenza che per forza deve essere riconosciuto: quanto amore nasce e si ferma dentro il nostro cuore. Se l’altro non ti accetta (leggi i Nazaretani con Gesù) non puoi obbligarlo a farlo. Ma nulla e nessuno ti vieterà di continuare ad amarlo.