La lezione delle due donne di domenica scorsa ci ha aperto il cuore ancora di più sulle cose essenziali della vita. La prima ci ha fatto alzare lo sguardo verso il cielo dove Dio-Padre-Provvidenza ha cura di noi e si preoccupa di noi, per il nostro bene, quello vero, però che non dipende dalle cose materiali che pur si presentano come necessarie e importanti. La seconda, nel Vangelo, ci ha fatto intravedere lo sguardo di Dio che penetra nei cuori e sa leggere pur nel nostro cosiddetto “poco” la casa del cuore, per cui il distacco dalle cose del mondo non è traumatico se ci fa trovare l’amore di Dio che gratifica, porta la pienezza della gioia.
In queste ultime domeniche dell’anno liturgico, quasi pedagogia di una vita terrena che si chiude e di una vita eterna che si apre, la Chiesa con la sua liturgia decisamente spinge il nostro sguardo verso il cielo, la nostra vera patria, il luogo dove Gesù ci ha preceduti per preparaci il posto riservato per noi fin dalla eternità.
Quando si parla tra “profani” della morte, del passaggio da questa vita, si ha spesso la sensazione che vogliamo esorcizzare questa realtà, allontanarla da noi.
Sì è vero, la vita di questo mondo è affascinante, ci intriga tanto da legarci ad essa, da non volerla lasciare. Ma l’appuntamento della morte, comune a tutti i mortali, ci dice esattamente il contrario: che cioè arriva sempre il momento del distacco. Distacco da “questa” vita, distacco dalle persone, dalle storie, dai volti, non certamente dagli affetti che porteremo sempre nel cuore. Il distacco apre la prospettiva ad una nuova concezione di relazione: non costruita sull’effimero ma sull’essenziale; pensiamo all’affetto di un papà e di una mamma. Arriva il moneto in cui il volto dei nostri genitori non lo vediamo ma resta nel cuore il bagaglio di valori, esempi, amore che essi hanno riversato dentro di noi: e questo non muore. Su questa linea di nuove relazioni si muove tutto il tessuto della vita cristiana, o se volete, chiamiamola spirituale. Non è il disprezzo delle cose di questo mondo (anch’esse create da Dio e da Lui messe a nostra disposizione): è fondamentalmente l’allenarci a distaccarci da queste cose materiali per aspirare ai carismi e alle realtà più grandi: per questo motivo parlavo prima dell’amore dei genitori come esempio. L’amore non muore mai! Tutta la vita spirituale cammina sul binario della scoperta e della valorizzazione dell’amore che porta il germe dell’eternità.
Ancora una riflessione e poi ci inoltriamo nella Parola di Dio. Noi siamo attirati sulla “fine” e questa ci fa tanta paura, proprio per il distacco di cui parlavo. Occorre spostare l’obiettivo sul “fine”. E per questo traiamo spunto dalle vicende della natura cui siamo abituati ma a cui diamo poca attenzione. Un seme caduto nel terreno vive la sua “fine”, muore, ma per raggiungere il suo “fine” che è un albero, un frutto ecc… Tutto l’universo vive questa fragilità. Quante volte abbiamo visto il sole sorgere, e poi tramontare e poi ri-sorgere di nuovo: abbiamo visto la primavera e poi l’estate della maturazione, e poi e poi l’inverno di una morte di transizione. Poi arriva ancora l’inizio, una gemma sull’albero, un filo d’erba nuova che sorge dal terreno. Nella nostra stessa vita: quanti tramonti abbiamo vissuto: anche il tramonto di affetti, di persone. Eppure siamo stati spinti a ricominciare a riandare d’accapo. Per questo motivo la Parola di Dio e Gesù in particolare ci educano alla speranza, da intravedere dentro la fragilità umana il seme dell’eternità
Cominciamo ad alzare lo sguardo con il profeta Daniele
Dal libro del profeta Daniele (12,1-3)
In quel tempo, sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo. Sarà un tempo di angoscia, come non c’era stata mai dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro. Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre.
Questa visione di Daniele ci presenta i saggi che, mentre tutto intorno passa, risplenderanno e saranno lo splendore del firmamento e risplenderanno essi stessi come stelle che non cadono. Per la loro presenza il buio non esiste ed il loro splendore diventa luce per molti che camminano nelle tenebre.
Dal Vangelo secondo Marco (13,24-32)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo. Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».
Gesù ci parla serenamente di quello che dobbiamo aspettarci: passa la scienza di questo mondo: il richiamo alle stagioni che facevo poco innanzi, è chiarissimo: Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Per noi credenti si apre la prospettiva della primavera che lascia spazio all’estate, alla maturazione del tempo e dei tempi. Ma in cosa consiste questa pienezza?
Il messaggio di Gesù è chiaro: quando vedrete accadere queste cose sappiate che il Signore è vicino, il Signore è alle porte. La nostra vera forza di credenti è esattamente questa: il nostro Dio è un Dio vicino. Nonostante la nostra fragilità, la nostra umanità, anzi proprio nella nostra fragilità Dio scorge la possibilità di assumere dei legami: è il passaggio dell’amore. Nella fragilità un legame che non passa. La nostra umanità è immersa nell’eternità.
La Parola di Dio ci educa sempre in questo senso. Cioè la Parola apre davanti a noi il senso della speranza e quindi ci presenta Dio come il nostro unico bene – dice il Salmo 15 che oggi si prega:
Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita. Io pongo sempre davanti a me il Signore, sta alla mia destra, non potrò vacillare. Per questo gioisce il mio cuore ed esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita negli inferi, né lascerai che il tuo fedele veda la fossa. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza,dolcezza senza fine alla tua destra.
Per questo motivo ancora oggi la lettera agli Ebrei ci ricorda:
Dalla lettera agli Ebrei (10,11-14.18)
Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e a offrire molte volte gli stessi sacrifici, che non possono mai eliminare i peccati. Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi. Infatti, con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati. Ora, dove c’è il perdono di queste cose, non c’è più offerta per il peccato.
In definitiva la nostra garanzia che non tutto è finito con la morte e con il passare di questo mondo, ci viene proprio dal sacrificio del Cristo. Quando Gesù ha offerto se stesso sull’altare della croce e ci ha redenti dal peccato, ci ha aperto definitivamente le porte del Paradiso e ci ha indicato chiaramente che il percorso dell’uomo, che nella “grande tribolazione hanno lavato le loro vesti rendendole bianche con il sangue dell’Agnello” – come ci annuncia l’Apocalisse -, sia destinato a concludersi nel grembo di Dio. Quindi non finisce tutto ma tutto inizia. È la nuova primavera che non porta frutti che muoiono ma porta il frutto dell’eternità beata. Ciò spiega perché i Santi, come Francesco, per esempio, hanno desiderato la morte senza averne paura, perché per loro la morte segnava e segna anche per noi il passaggio di una vita che “mutatur non tollitur” dice la Liturgia dei defunti: la vita è trasformata, o se volete trasfigurata, ma non è tolta, non ne restiamo privati.
La conclusione dell’anno liturgico ci ricorda tutta questa realtà: su cui si scommette la fede dei cristiani che credono in Gesù, morto e risorto, un Cristo che in questo modo vive per primo la nostra esperienza. Anche noi come Lui passeremo attraverso il mistero della morte che diventerà anche per noi mistero gioioso di comunione definitiva con Dio.